Sapere perché dopo un paio di anni lo smartphone è praticamente da rottamare certamente non ti farà piacere.
Tutti lo abbiamo sperimentato: i nostri smartphone nuovi di zecca, così sofisticati dal punto di vista tecnologico, sembrano essere dei giganti dai piedi d’argilla. Non durano a lungo: in genere dopo poco più di tre anni (o anche prima) sono già pronti per il pensionamento. E c’è poco da fare: il nostro telefono comincia a perdere colpi e restano poche soluzioni se non quella di sostituirlo.
Stando ai dati, nel 2022 la durata media di un telefono in Europa era di circa 40 mesi, un periodo di tempo che a livello globale quasi si dimezza. E in futuro il ciclo di vita dei nostri smartphone potrebbe accorciarsi ancora.
È probabile infatti che con la progressiva diffusione delle eSIM e di nuove tecnologie come 5G o 6G – per non parlare dei telefoni dotati di chip capaci di fare direttamente chiamate satellitari – le cose possano anche peggiorare. Al punto che viene il dubbio che i nostri smartphone non abbiano una durata programmata.
Mai sentito parlare di obsolescenza programmata? È un fenomeno che riguarda praticamente tutti gli apparecchi tecnologici, che dopo un paio d’anni sembrano rallentare e funzionare sempre peggio. Non si tratta altro che di una deliberata strategia commerciale messa in pratica dalle aziende produttrici.
In sostanza la durata “a tempo” dei nostri dispositivi è un modo per farci consumare prodotti senza mettere a rischio la produzione. Come? Semplicemente accorciando il ciclo di vita “naturale” di un prodotto così da indurre il consumatore ad acquistare anzitempo un modello nuovo. Insomma, gli smartphone vengono intenzionalmente progettati in modo che dopo un determinato periodo di tempo risultino out-to-date, obsoleti e inutilizzabili. Un po’ come accadeva ai replicanti di P. K. Dick (o di Blade Runner, per gli amanti del cinema) a loro volta prodotti artificiali con una durata di vita predeterminata.
Spesso infatti gli aggiornamenti del sistema per i telefoni rischiano addirittura di peggiorare le prestazioni dei modelli più vecchi. Alcuni colossi – come Apple e Samsung – si sono visti multare nel nostro Paese proprio per obsolescenza programmata. Le multe sono scattate a seguito della certificazione che alcuni aggiornamenti possono far peggiorare le performance dei telefonini senza che gli utenti vengano informati della cosa.
Anche sul fronte delle riparazioni si può applicare il principio dell’obsolescenza programmata, con ricambi costosi, difficili da reperire, riparazioni lunghe. I nostri cugini francesi hanno cercato di contrastare questo fenomeno introducendo un “indice di riparabilità”: una valutazione – da 1 a 10 – su quanto uno smartphone può essere più facilmente riparabile rispetto a un altro alla luce di parametri come il costo dei ricambi, la loro disponibilità, l’effettiva possibilità di intervenire sul telefono e via dicendo.
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