Siamo certi che i nostri dati siano al sicuro? A quanto pare la visione di alcuni video potrebbe spingere la polizia ad osservarti da vicino.
La questione privacy sul web è quotidianamente dibattuta su più livelli. Ciò che facciamo sul web è costantemente monitorato quantomeno dai fornitori di servizi e una delle principali preoccupazioni degli utilizzatori è quella relativa alla vendita dei nostri dati e delle nostre preferenze di navigazione alle aziende di terze parti.
Ogni volta che entriamo in un sito e sottoscriviamo un account (gratuito o meno) firmiamo delle liberatorie nelle quali ci viene spiegato – almeno in teoria – l’utilizzo che viene fatto dei nostri dati. Per incuria tutti noi almeno una volta abbiamo accettato senza leggere i termini proposti. E questo nella maggior parte dei casi ha portato a chiamate indesiderate da parte di trader e attività commerciali.
Ma se vi dicessimo che la vostra attività web potrebbe essere attenzionata anche dalla polizia in certi casi? Ovviamente è noto a tutti che nel caso in cui si dovessero osservare o ricercare contenuti video o immagini illegali si possa finire sulla lente d’ingrandimento delle forze dell’ordine. Ma ciò che è meno noto è che potrebbe capitare anche semplicemente guardando dei video su YouTube.
Esattamente come succede con i social network e le app di messaggistica istantanea, in teoria Google su YouTube dovrebbe proteggere la privacy dei propri utenti e dunque le loro attività da sguardi indiscreti. Non solo le aziende terze parti, ma nemmeno la polizia dovrebbe avere accesso a dati personali se non in casi limite.
Il dubbio che Google possa fornire d’ora in avanti i dati di ricerca e visualizzazione alla polizia in qualsiasi caso è venuto di recente. L’FBI ha infatti chiesto e ottenuto i dati e le cronologie di utenti che avevano visionato i video dell’utente ‘elonmuskwhm.’. Tali video trattano di criptovalute e metodi di guadagno, dunque per quale motivo i federali li hanno attenzionati?
Secondo quanto riferito da ‘Forbes’, la richiesta – accettata dal giudice competente – è legata al dubbio che l’utente in questione sia uno di quelli che ricicla denaro sporco attraverso le criptovalute. Insomma l’indagine e la possibilità di forzare l’ottenimento dei dati è giustificato dalla necessità di indagare e fermare un reato. Ma perché avere i dati di tutti coloro che hanno visionato, anche per sbaglio, un video di questo utente sospettato?
Secondo le forze dell’ordine americane è utile ai fini dell’investigazione e potrebbe aiutare a sgominare un giro di riciclaggio di denaro. Il timore avanzato da più parti, però, è che questo caso possa fornire un precedente pericoloso e che da questo momento in poi i dati degli utenti possano essere di dominio pubblico a scopi preventivi.
Per quanto riguarda l’Italia e gli utenti italiani, per il momento non si sono verificati (o per lo meno non sono emersi) casi simili. Appare chiaro che se non si commettono illeciti non ci sia da temere anche se le forze dell’ordine mettono mani sulla nostra privacy. Ma il problema qui è di natura etico-sociale ed è lo stesso che ci poneva George Orwell in 1984: a quanta libertà siamo disposti a rinunciare pur di avere l’illusione della totale sicurezza?
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